Tiziano Pacchiarotti, Il teatro dell’ambivalenza. Per una drammaturgia medievale del jeu, Milano-Udine, Mimesis Edizioni, 2014.
ISBN 978-88-5752-264-7, 274 pp., 20,00 euro
Il genere del jeu segna gli esordi del teatro medievale profano (XIII secolo), dove l’effettiva definizione di ‘genere’ costituisce già di per sé una delle fondamentali problematiche dell’indagine filologica.
Nodo focale del saggio è il rapporto costante fra l’unità e la frammentazione del discorso nei processi culturali di elaborazione formale del jeu, rapporto articolato a tal punto da richiedere di tornare più volte sui diversi frangenti per poterne osservare la complessità da più angoli prospettici.
Tre testi, in particolare, testimoniano la condivisione di una prassi drammaturgica già matura e di specifici ambiti del discorso – quali il metodo formale della Scolastica, le categorie materiali dell’emergente società comunale, l’estetica sociale dello spazio urbano –, ambiti organizzati più intimamente dalla costante triangolazione logica fra letteratura, tradizione folklorica e linguaggio quotidiano.
In questo ricco tessuto di relazioni differenziali, il gioco, la competizione e la disputa verbale declinano la parola del jeu in molteplici forme sceniche di alterità. Si rimanda così, per usare una parola-chiave di Michail Bachtin, a quel‘teatro dell’ambivalenza’,per certi versi mai del tutto afferrabile, che è in ogni caso teatro dell’ipotesi e della verifica, della regola e della trasgressione, del dibattito e della sentenza, della città e della frontiera, dell’io e del suo intreccio polifonico.